BAGHERIA - Un pubblico di studenti attento e partecipe ha preso parte alla giornata di riflessione e testimonianza di chi combatte la cultura mafiosa che si è svolto ieri mattina nell’auditorium dell’Itet “Don Luigi Sturzo” diretto dal dirigente scolastico Vito Cudia, in previsione della marcia antimafia Bagheria-Casteldaccia di mercoledì prossimo, organizzata dal Centro studi “Pio La Torre”. “La marcia non è una sceneggiata – ha detto Vito Lo Monaco il quale ha annunciato il prossimo appuntamento del Centro studi “Pio La Torre sulla violenza di genere – ma un esempio storico di una azione popolare unitaria che nasce dalla necessità di dire no alla mafia e al malaffare. Ripeterla ha un grande valore di partecipazione”. Le testimonianze di coloro che hanno subito le intimidazioni mafiose come l’altavillese Gianluca Calì, l’asprense Michelangelo Balistreri e il palermitano Daniele Ventura, ma anche di Claudia Koll che ha raccontato la sua esperienza nelle carceri ha tenuti incollati alle sedie centinaia di studenti. La giornata si è aperta con un video sugli angeli delle scorte realizzato dagli stessi studenti e da Salvo Cascino della IV/F che ha invitato i compagni a denunciare apertamente ciò che non va nella nostra società. Toccante la testimonianza di Baldo ospite presso “Casa dei giovani” la comunità terapeutica per il recupero dei tossicodipendenti il quale ha raccontato come sta recuperando il suo rapporto di genitore con i suoi figli e di Biagio Sciortino, presidente dell’Intercear che si sta impegnando sul territorio. Gianluca Calì l’imprenditore coraggioso che si è ribellato al pizzo ha raccontato la sua esperienza prima a Milano e poi il ritorno a Casteldaccia dove ha subito intimidazioni mafiose senza mai cedere. “Il momento più terribile sono state le minacce ai miei figli quando uscivano da scuola a Milano – ha detto - quell’esperienza mi ha toccato molto ma ho sofferto di più alla reazione di alcuni tanti genitori che prendevano le distanze. Occorre scegliere la legalità per cambiare lo stato delle cose a partire da noi che non siano eroi”. La testimonianza di Claudia Koll al carcere dove ha ascoltato un ragazzo che aveva partecipato ad un omicidio eccellente e sentiva il bisogno di essere perdonato. “Ho accolto la sofferenza dei carcerati – ha affermato Koll - pregando con loro per un cambiamento di vita”. Michelangelo Balistreri ha ripercorso la sua esperienza di imprenditore che ha subito una intimidazione da un suo amico d’infanzia e che ha rivelato di avere denunciato ancora una volta a gennaio alcuni estortori. “Il mafioso vuole ci togliere le emozioni – ha detto – che ci offre la nostra bella terra di Sicilia”. La direttrice della Caritas cittadina Mimma Cinà. “Ci siamo impegnati da tempo per questo territorio nell’ascolto – ha dichiarato – la povertà non genera la mafia, ma la mafia genera la povertà. (Nella foto Pig, Claudia Koll durante la giornata di lavori)
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“La lunga marcia della Chiesa verso la realtà mafiosa. Convertitevi” è stato il tema della Tavola rotonda sulla lettera dei Vescovi di Sicilia sulla mafia, organizzata dalla Confraternita di San Giuseppe, nell’ambito dei festeggiamenti in onore del Santo patrono di Bagheria. Nel corso dell’incontro, moderato dal dr. Pino Grasso, direttore del’Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Palermo, hanno relazionato lo storico della Chiesa, don Francesco Michele Stabile, il quale ha tracciato un excursus sulla mafia, dal XIX secolo fino ai giorni nostri, citando l’impegno del card. Salvatore Pappalardo che fu il primo a parlare di mafia come struttura di peccato. Quindi è intervenuto don Cosimo Scordato, docente presso la Facoltà Teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista” che ha proposto un percorso penitenziale da parte dei mafiosi, i quali dovrebbero denunciare pubblicamente il loro agire, essere pronti a cambiare vita e riparare quanto arrecato di male alla comunità, ripristinando la prassi penitenziale dei primi secoli della cristianità. Il prof. Nino Morreale, già docente nei licei, citando Ignazio Buttitta, ha detto che un tempo mafia e Chiesa si sono stretti la mano e quest’ultima si è resa conto solo dopo tanto tempo della gravità dell’azione criminale della consorteria. Per il teologo don Rosario Giuè, tutti dobbiamo convertirci e come Chiesa essere credibili in tutte le nostre azioni. Infine l’arciprete don Giovanni La Mendola, riconoscendo la fragilità dei preti di Bagheria ha ribadito che si vogliono bene e sono orgogliosi di operare in città.
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