Signore Gesù, sei epifania (manifestazione) di Dio apparsa nella
carne umana in questa mangiatoia («in praesaépio», nel presepe: Lc
2, 7) di Betlemme. Tu, Luce inaccessibile, sei venuto a rischiarare, -
non certo a confinare nelle tenebre! - il mondo amato da Dio Padre, la
casa comune abitata dall'unica famiglia umana nella creativa e feconda
contaminazione dei popoli, delle lingue e delle culture. Siamo noi il
popolo «che ha visto una grande luce» (Is 9, 1). Tu sei venuto nel
segno della pace - non nella bruta forza! - a rivelarci il piano di
salvezza disegnato da Dio per le donne e gli uomini di ogni tempo. Tu,
di stirpe regale, non disdegni di rimanere tra gli umili. Non sei
rimasto immobile nella tua gloriosa onnipotenza e nella tua
incolmabile distanza. Tu sei sceso. Hai abbattuto le distanze pur di
lanciare un ponte di comunione con noi terreni, figli di Adamo (del
Terreno). Ti sei fatto piccolo come noi; noi che, invece, - affetti da
mania di grandezza, onnipotenza e immortalità - siamo sempre tentati
di rapinare l'identità divina che tu invece rechi a noi creature come
dono originario del Creatore. Tu ci ami a tal punto da unirti a noi,
perché anche noi possiamo unirci a Te. In Te bambino, nato dalla
Vergine Maria in questa notte di Luce, Dio ci hai raggiunti secondo
questa “piccola statura”. Ti sei abbassato. Annichilito. E in
questo sei immagine perfetta del Dio invisibile (cfr Col 1, 15),
rivelazione della bellezza, della finezza d'animo e dei sentimenti
più veri del Dio tre volte santo e umile, il traboccante di
Semplicità: quanto è umano e bello questo Dio che in Te ci è dato
contemplare! In questa notte, - in cui splende il segno del Bambino
nato da una Donna che non ha conosciuto uomo; la notte del parto di
Maria in un alloggio di fortuna a Betlemme di Efrata, «la così
piccola per essere fra i villaggi di Giuda» (Mi 5, 1); la notte di
Giuseppe che non teme e affronta l'impossibile; la notte della veglia
e dello stupore dei pastori; la notte del ritorno sulla terra del
brusio e del canto degli angeli (cfr Lc 2, 1-14) - [in questa notte]
nello Spirito, ciascuno di noi è un presente a questo evento celeste,
viene raggiunto da Dio, l'Emmanuele, il Dio con noi. Dio si incarna.
Entra nel creato. Nella storia umana. Diventa come noi, uno di noi.
Per amore. Solo per amore. Per pura grazia: «È apparsa infatti la
grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,
11). Viene nella mia vita, nella nostra personale e comunitaria
concreta storia umana, come concreta e umana è la vicenda di Maria e
Giuseppe e del piccolo Gesù. In Gesù, Dio, il mondo non lo interseca
semplicemente, ma lo assume entrandovi. Come è reale il primo Natale!
Viene, entra. Attraverso questa via così diversa dai nostri pensieri
appesantiti da impietosi massi forieri di pregiudizi e di barriere
mentali e religiose; questa via così diversa dalle ragioni di quanti
si credono grandi e ostentano supponenza; questa via così diversa
dalle logiche dei poteri religiosi e dei potenti delle nazioni della
terra. Siamo qui gioiosi, come e con le stelle che in questa notte
«hanno brillato di gioia per colui che le ha create» (Bar 3, 34), ad
accogliere la lieta notizia degli angeli - servitori della Parola di
Dio - che risuona oggi nella Chiesa, serva e ‘nunzia' dell'Evangelo,
chiamata ad intercettare le più belle parole umane che sono nel
mondo, riverbero del Vangelo di Gesù, l'Uomo perfetto, il più bello
tra i figli dell'uomo.
Nel Natale di Gesù la via di Dio è l'uomo. Natale ci ricorda che
dobbiamo ripartire dall'uomo. Noi non possiamo avere altra via per
rimanere umani, per alimentare la fede cristiana e condividerla in
questo nostro tempo che conosce il travaglio della custodia del volto
autentico dell'uomo. Giovanni Paolo II nel 1978 in un messaggio
radiotelevisivo natalizio ebbe a dire: «Natale è la festa dell'uomo.
Nasce l'Uomo. Uno dei miliardi di uomini che sono nati, nascono e
nasceranno sulla terra. […] E nello stesso tempo, uno, unico e
irripetibile. Se noi celebriamo così solennemente la nascita di
Gesù, lo facciamo per testimoniare che ogni uomo è qualcuno, unico e
irripetibile. Se le nostre statistiche umane, le catalogazioni umane,
gli umani sistemi politici, economici e sociali, le semplici umane
possibilità non riescono ad assicurare all'uomo che egli possa
nascere, esistere e operare come un unico e irripetibile, allora tutto
ciò glielo assicura Iddio» (Giovanni Paolo II, Messaggio di Natale,
25 dicembre 1978). E il 28 gennaio 1979, lo stesso Giovanni Paolo II,
a Puebla, durante la III Conferenza generale dell'Episcopato
Latinoamericano, utilizzò delle parole che oggi, dopo 40 anni,
conservano tutta la loro vitalità: «Parlate con il linguaggio del
Concilio, di Giovanni XXIII, di Paolo VI: è il linguaggio
dell'esperienza, del dolore, della speranza dell'umanità
contemporanea». Siamo qui, come ci ricorda Paolo nella lettera a
Tito, per «rinnegare l'empietà e i desideri mondani e vivere con
sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo» (Tt 2, 12), per farci
fecondare nella mente, nel cuore e nelle azioni dal «mirabile
segno», dall'Admirabile signum, - così ha definito papa Francesco il
presepe nella sua recente Lettera Apostolica - che contempliamo in
questa notte, «come un Vangelo vivo, che trabocca dalle pagine della
Sacra Scrittura» (Francesco, Lettera Apostolica Admirabile signum, 1)
e che vuole imprimersi nella nostra coscienza personale e comunitaria
per raggiungere gli uomini e le donne di buona volontà di questo
nostro complesso ma promettente cambiamento epocale. Ci ha ricordato
il Papa che «Siamo invitati a metterci spiritualmente in cammino,
attratti dall'umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare
ogni uomo» (Francesco, Lettera Apostolica Admirabile signum, 1).
Sulle sue spalle rifulge “l'altro potere” del suo regno iscritto
nel suo nome: Consigliere mirabile degli uomini, Principe della pace,
Padre per sempre: «Grande sarà il suo dominio e la pace non avrà
fine […] sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il
diritto e la giustizia, ora e sempre» (Is 9, 6). Un grande padre
spirituale del monastero di San Macario in Egitto, una delle
personalità più rappresentative della Chiesa copta ortodossa
contemporanea, Matta El Meskin, in una meditazione sul Natale
scriveva: «[Signore Gesù] Sappiamo che non avrai pace finché non ci
troverai secondo la tua somiglianza e con questa statura. Permettici
oggi, Figlio di Dio, di avvicinarci al tuo cuore. Donaci di non
crederci grandi nelle nostre esperienze. Donaci, invece, di diventare
piccoli come te affinché possiamo esserti vicini e ricevere da te
umiltà e mitezza in abbondanza. Non ci privare della tua rivelazione,
l'epifania della tua infanzia nei nostri cuori, affinché con essa
possiamo curare ogni orgoglio e ogni arroganza. Abbiamo estremo
bisogno, stasera, che tu riveli in noi la tua semplicità avvicinando
noi, anzi la chiesa e il mondo tutto, a te. Il mondo è stanco e
sfinito perché fa a gara a chi è il più grande. C'è una
concorrenza spietata tra governi, tra chiese, tra popoli, all'interno
delle famiglie, tra una parrocchia e un'altra: chi è il più grande
tra di noi? Il mondo è piagato da ferite dolorose perché il suo
grande morbo è: chi è il più grande? Ma oggi abbiamo trovato in te
il nostro unico medicamento, Figlio di Dio. Noi e il mondo tutto non
troveremo né salvezza né pace, se non torniamo a incontrarti di
nuovo nella mangiatoia di Betlemme» (L'umanità di Dio. Meditazioni
sull'incarnazione, Edizioni Qiqajon, Magnano 2015, 183).