Per qualcuno le incessanti preghiere dei devoti hanno funzionato, per altri il rimorso di chi ha compiuto l’atto sacrilego e per altri ancora la paura di essere scoperti e denunciati per furto, tenuto conto che nella zona sono piazzate le telecamere della video sorveglianza. Fatto sta che la statua della Madonna è ritornata al suo posto per la gioia di tutti i fedeli della Madonna dal volto dolce, vestita di bianco e con indosso un manto azzurro, con in braccio il Bambino Gesù. L’episodio criminoso era stato perpetrato nottetempo, presumibilmente nella notte tra l’11 e il 12 febbraio scorsi, quando ignoti hanno trafugato l’immagine sacra dalla cappella nel giardino attiguo alla chiesa della Madonna delle Grazie di Trabia, appartenente alla Confraternita omonima, ma è stato scoperto dopo alcuni giorni, dagli stessi confrati andati sul luogo a pulire la cappella e a deporre i fiori. “Giovedì fino al pomeriggio la statua non c’era nella nicchia – dichiara il confrate della Confraternita Giorgio Pace – ma la sera, attorno alle ore 21 hanno segnalato al superiore che la statua della Madonna era tornata miracolosamente al suo posto non sappiamo nemmeno chi l’abbia rimessa. Adesso ritireremo la denuncia, anche perché lo stesso maresciallo dei carabinieri ritiene sia stata una ragazzata. Il resto sono insinuazioni perché si può ipotizzare di tutto”. Di ragazzata aveva parlato anche il parroco della Parrocchia di santa Petronilla, don Marco Lupo, all’indomani del furto. “Ritengo che il furto della statua della Madonna è stato soltanto un piccolo atto vandalico – afferma – pertanto penso sia meglio sminuire su questo episodio seppure spiacevole”. I fedeli trabiesi che solitamente frequentano il luogo, anche per la vicinanza con il cimitero comunale, invece a seguito del furto hanno manifestato tutta la loro indignazione. “Un episodio questo che ci lascia sgomenti e attoniti – avevano dichiarato – considerata la sacralità dell'oggetto in questione e il legame che tutti i Trabiesi hanno con questa immagine. Da parte di altri invece è stata manifestata una grande e già ieri mattina molti hanno effettuato dei pellegrinaggi deponendo mazzi di fiori ai piedi della statua. “Questa Madonnina è incantevole, stupenda e meravigliosa – dice Anna Caggeggi – e mi affascina tanto. Brave quelle persone che sono riuscite a rimetterla al suo posto perché la Madonna appartiene ai fedeli di tutto il mondo”. Il furto della Madonna delle Grazie di Trabia aveva preoccupato l’intera comunità, anche perché in precedenza si erano verificati altri episodi simili come quello della campana della chiesa di Santa Marina a Termini Imerese. “La Confraternita della Madonna delle Grazie di Trabia gioisce nel rendere noto che la statua della Madonna col Bambino è stata nuovamente riposta da ignoti nella propria cappella. Si ringrazia di cuore chiunque abbia compiuto questo gesto, riparando a quello perpetrato precedentemente, così come si ringraziano quanti, attraverso i vari mezzi di comunicazione, hanno divulgato la notizia del furto della statua”.
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Palermo - In relazione alla circostanza - comunicata agli organi di informazione dai vertici della Dia di Palermo a seguito dell'arresto di otto persone ritenute organiche alla famiglia mafiosa del quartiere Arenella - relativa alla presenza del boss Gaetano Scotto (tra gli otto destinatari delle misure restrittive) ai festeggiamenti in onore di Sant'Antonio di Padova nel giugno del 2016, l'Arcidiocesi di Palermo precisa che la presenza del boss a bordo dell'imbarcazione privata che trasportava la statua del Santo non è riconducibile in alcun modo né alla Confraternita “Sant'Antonio di Padova all'Arenella” (organizzatrice dei festeggiamenti) né tanto meno alla parrocchia di Sant'Antonio di Padova. La Confraternita si è anzi premurata di indicare al proprietario dell'imbarcazione il numero di coloro che potevano accompagnare la statua del Santo durante la processione via mare in ottemperanza alle disposizioni della Capitaneria di Porto di Palermo e delle autorità marittime. Se qualcuno - e tra questi lo Scotto - ha deciso di salire a bordo fuori dalle procedure che devono essere normalmente seguite, ciò non è minimamente ascrivibile alla responsabilità degli organizzatori dei festeggiamenti e della parrocchia del luogo. Il parroco della chiesa di Sant'Antonio di Padova don Francesco Di Pasquale e i responsabili della Confraternita “Sant'Antonio di Padova all'Arenella” non soltanto stigmatizzano l'eventuale presenza di soggetti legati alla criminalità mafiosa che approfittano della presenza di centinaia di fedeli per mischiarsi alla folla ma prendono le distanze da ogni possibile forma di strumentalizzazione di un evento religioso che deve essere vissuto soltanto in ragione di una fede e di una devozione autentiche. La Chiesa di Palermo ribadisce ancora una volta l'assoluta inconciliabilità dell'agire malavitoso con l'appartenenza ad una confraternita, così come chiaramente espresso nel Decreto del 25 gennaio 2019 emanato dall'Arcivescovo S.E. Mons. Corrado Lorefice; un Decreto che richiama anche la Lettera “Convertitevi!” dei Vescovi di Sicilia in occasione del venticinquesimo anniversario dell'accorato appello di S. Giovanni Paolo II, nella Valle dei Templi di Agrigento, il 9 Maggio 1993: con quella Lettera i Presuli siciliani hanno riaffermato con forza l'inconciliabilità «di chi si affilia alle organizzazioni mafiose, pur continuando a farsi quotidianamente il segno della croce e a frequentare la messa domenicale, oltre che le processioni patronali e le riunioni confraternali, senza però avvertire in tutto ciò alcuna contraddizione». «Non possiamo rassegnarci - continuano i Vescovi - a veder degenerare le varie forme di pietà popolare in espressioni di mero folklore, manovrabile in varie direzioni, anche da parte delle famiglie mafiose di quartiere, in quest'ultimo caso soprattutto per fini di visibilità e di legittimazione sociale. Non possiamo tollerare che le festività di Cristo Gesù, di Maria Madre sua e dei suoi santi degenerino in feste pseudo-religiose, in sagre profane, dove - nella cornice di subdole regie malavitose - all'autentico sentimento credente si sostituiscono l'interesse economico e l'ansia consumistica, e dove non si tributa più onore al Signore ma ai capi della mafia». Si tratta di indicazioni che la Confraternita “Sant'Antonio di Padova all'Arenella” ha pienamente recepito anche attraverso il costante rapporto con la parrocchia del quartiere, attualmente impegnata ad annunciare il messaggio di salvezza del Vangelo attraverso la promozione di progetti di utilità sociale, come il progetto “In.Con.Tra” finanziato con i fondi dell'8 per Mille e il progetto “Tutti a bordo” realizzato in sinergia con l'amministrazione comunale; un impegno che nei mesi è costata alla parrocchia una quindicina di scritte offensive e intimidatorie sui muri delle strade che conducono al porticciolo dell'Arenella. “Segnali che denotano - ha sottolineato l'Arcivescovo - che c'è qualche forza a cui questo lavoro e la collaborazione tra parrocchia, Confraternita, Istituto Maria Ausiliatrice, Azione Cattolica e diverse altre realtà dà fastidio” Che nessuno creda quindi di poter trasformare un evento di fede e di devozione in una sorta di “passerella” attraverso codici di comunicazione che nulla hanno a che fare con la religiosità popolare autentica e ispirata unicamente all'annuncio del Vangelo.
Attivarsi con impegno costante per una forte sensibilizzazione sociale e culturale contro la tratta che apra percorsi di speranza. E’ stato questo il tema della veglia di preghiera per le vittime di tratta, che si è svolto ieri a Palermo in memoria di santa Bakita, in occasione della 6a Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. L'evento è stato organizzato dall'Usmi Sicilia in collaborazione con la Caritas, il Coordinamento antitratta, Le Rose Bianche, il Segretariato attività ecumeniche (SAE) e la parrocchia di Sant'Antonino.
La serata ha avuto inizio con una fiaccolata, partita da piazza Sant’Antonino che si è poi conclusa in Cattedrale, dove si è svolto il momento di riflessione. L'invito rivolto all'assemblea è quello di un impegno comunitario e personale per conoscere la realtà della tratta di persone a livello globale e locale; pregare per le vittime della tratta perché termini questa schiavitù; chiedere una legislazione locale e nazionale che protegga le vittime, aiuti i sopravvissuti e persegua i trafficanti.
I diversi momenti di riflessione sono stati accompagnati dagli intermezzi musicali del coro gospel multietnico Nightingales Singer Ensemble. All'altare sono stati portati con la loro forte connotazione simbolica un mappamondo e delle catene. Due giovani hanno percorso il corridoio centrale della chiesa con dei cartelloni: avevano due maschere bianche e i cartelli con le scritte “cliente” e “merce”.
"La tratta è una piaga che colpisce indistintamente tutti ma soprattutto i più poveri e coloro che in vario modo possono definirsi 'ultimi' - ha detto la giornalista paolina suor Fernanda Di Monte, tra le organizzatrici della veglia - e 'scartati' della nostra società. Coloro che vivono ai margini e i più deboli come le donne e i bambini sono le vittime privilegiate di ingiustizie e soprusi".
La serata si è articolata con il racconto di tre storie di disperazione, di povertà ma anche di coraggio. La prima è la storia di una donna dell'Uganda che per motivi economici fu truffata da un'agenzia che le offrì di lavorare in Medio Oriente in condizioni di “schiavismo” vero e proprio. "Credevo di avere avuto una grande opportunità e invece mi ritrovai - si legge nel racconto di Jessie - in un contesto di schiavitù domestica. Lavoravo senza sosta e non ricevevo né cibo né compenso". Per fortuna la ragazza riuscì a fuggire e per lei fu l'inizio di una nuova vita.
La seconda storia proviene dalla Thailandia. "Ho 40 anni e ho vissuto in una baraccopoli in Thailandia -. Non ho potuto studiare perché i miei genitori erano poveri, non avevo documenti ed ero e sono tutt'ora affetto da schizofrenia. Mi guadagnavo da vivere con la vendita dei rifiuti - si legge nel racconto di Somchai -. Quando mi fu proposta l'occasione di imbarcarmi in un peschereccio, ho accettato ma purtroppo mi ritrovai in una situazione peggiore di prima: mangiavo poco e non riposavo mai. Anche il pagamento promesso non arrivò mai. Dopo alcuni mesi sono stato abbandonato in un'isola dell'Indonesia". Il giovane è riuscito a fuggire e con l'aiuto di due organizzazioni ecclesiali riuscì a riconquistare la libertà e tornare in Thailandia dove oggi riesce a vivere
L'ultima storia proviene dall'Italia ed è di una giovane nigeriana. "Dopo la morte di mio padre, avevo deciso di lasciare la Nigeria perché volevo aiutare mia madre e i miei fratelli. Arrivata in Italia con la promessa di un lavoro mi ritrovai in strada - si legge ancora nel racconto di Maryam - sotto le direttive di una madame che mi sottoponeva a violenze fisiche e psicologiche. Pensavo che una volta saldato il debito mi sarei liberata dall'incubo. Loro chiedevano sempre più soldi. Sola e senza documenti finii in carcere pur essendo innocente". La ragazza dopo il carcere è stata accolta in una comunità per ottenere gli arresti domiciliari. In questi anni è riuscita a trasformare la sua vita e ad aiutare molte giovani che erano cadute come lei in mano dei trafficanti. Oggi è mamma, ha una famiglia e lavora come educatrice nella comunità".
"Ciascun volto può essere incontrato, accarezzato, ascoltato. Insieme è possibile spezzare le catene della schiavitù - dice il pastore valdese Peter Ciaccio -. In questo modo, le storie di vita possono diventare storie di rinascita, speranza e dignità".
"La cosa principale da fare è quella di fare emergere in tutto il suo spessore questo dramma - sottolinea l'arcivescovo Corrado Lorefice -. Occorre quindi dare voce ad una realtà che rischia di non essere colta. Spesso, infatti, ci si lascia risucchiare dall'ordinarietà ma bisogna diventare moltiplicatori del bene nella nostra quotidianità avendo cura di chi è più ferito e fragile. Ci conforta il fatto che sta crescendo sempre di più la forte sensibilità di alcuni gruppi che, la sera e la notte, si spendono con grande senso di responsabilità e coraggio per manifestare a queste ragazze una prossimità senza lasciarle sole ed abbandonate da tutti. Dobbiamo, però, continuare a fare cultura nello stesso tempo per dire che la tratta è profondamente disumana. Occorre che tutte le comunità nazionali ed internazionali possano impegnarsi per accogliere, proteggere e fare recuperare la dignità a queste persone. Penso a noi che ci affacciamo sul Mediterraneo e a quante di queste persone vengono illuse, quando arrivano in Italia, ritrovandosi poi preda di una schiavitù senza scrupoli mentre cercavano, invece, la libertà".
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