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Un nido e scuola dell’infanzia dove sono banditi i giocattoli di plastica, si fa l’assemblea ed è la maggioranza a scegliere come giocare. L’idea è di Florio BabyLife che porta in città il Reggio Emilia Approach educando i bambini ad essere parte integrante della collettività

La giornata si apre con l’assemblea dei bambini. Sono loro a scegliere l’ordine del giorno: si confronteranno, ne discuteranno e alla fine la maggioranza detterà l’indirizzo delle attività. Banditi i giocattoli però, per far spazio al riciclo creativo degli elementi della natura. A Palermo nasce la Repubblica dei bambini, la prima baby comunità della città che porta tra i banchi di scuola - sotto forma di gioco - i principi cardine di uno stato di diritto. L’idea è di Florio BabyLife, il nido scuola al civico 3 di via Pietro Nenni che, ispirandosi al Reggio Emilia Approach, educa i bambini ad essere parte integrante della collettività.

Stimolare alla partecipazione del processo democratico, così, è il metodo. Secondo questo approccio infatti l’apprendimento non viene stimolato tanto dai giocattoli, quanto dalle relazioni che il bambino ha non solo con gli insegnanti e la famiglia, ma anche con il territorio. Il bambino è così un soggetto competente partecipe del processo democratico al pari di un cittadino. L’approccio, naturalistico-didattico, è la chiave di lettura del nido scuola che porta a Palermo il metodo che considera i bambini come soggetti di diritto che esercitano la cittadinanza attiva.

Ecco che così, elementi naturali come sabbia e acqua, oggetti di uso comune e materiali di riciclo prendono il posto della plastica e dei giochi strutturati all’interno degli Atelier, veri e propri luoghi di sperimentazione e ricerca dove i cinque sensi dei bambini (da zero a sei anni) vengono stimolati grazie a setting accuratamente predisposti dall’atelierista-educatore.

Il nido scuola promuove così non solo i diritti ma anche le potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento dei bambini attraverso ‘I cento linguaggi’. “Il bambino come essere umano possiede cento linguaggi, cento modi di pensare, di esprimersi, di capire, di incontrare l’altro attraverso un pensiero che intreccia e non separa le dimensioni dell’esperienza - spiega Giusy Albamonte, direttrice di Florio BabyLife -. I cento linguaggi sono metafora delle straordinarie potenzialità dei bambini, dei processi conoscitivi e creativi, delle molteplici forme con cui la vita si manifesta e la conoscenza viene costruita”. Tutti i linguaggi, verbali e non verbali, vengono così considerati e a loro viene data pari dignità. Perché nessuno è diverso e tutti sono uguali.

“Il nido scuola, in quanto parte attiva e dialogante della vita civile della città, è costantemente impegnato a proporsi e a ricercare un solidale rapporto con il territorio, a interagire e collaborare con il sistema delle offerte formative, culturali, educative, economiche cittadine, gestite da soggetti pubblici e privati – prosegue ancora la direttrice -. Questa scuola appartiene a una città attraversata da forti cambiamenti che la proiettano sempre più in una dimensione multiculturale e internazionale, che richiede una elaborazione di pensiero e di azione capace di coniugare la dimensione locale con una prospettiva planetaria”.





La foto di Maria Pia Barraco che ha fotografato un anziano in carrozzina durante la processione del 15 luglio scorso, ha vinto la terza edizione del Concorso fotografico organizzata la Parrocchia della Cattedrale e dall’Ufficio per le Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Palermo, diretto dal diacono Pino Grasso, in occasione del 395° Festino in onore di Santa Rosalia. Al 2° posto si è classificata Irene Sole con una foto che ha immortalato due piccoli tamburinai davanti la grotta di Santa Rosalia e al 3° posto Vito Ferri che ha illustrato l’urna di Santa Rosalia con lo sfondo della Luna. La premiazione si è svolta stamani al termine della celebrazione Eucaristica.

“Abbiamo avuto serie difficoltà a scegliere le foto più belle – dichiara il parroco della Cattedrale mons. Filippo Sarullo perché molte altre meritavano di vincere. Abbiamo premiato quelle che a nostro parere, aldilà della tecnica, hanno rappresentato un momento significativo della processione di Santa Rosalia”. Al concorso hanno preso parte anche Fabio Caltanissetta, Gaetano Cannata, Caterina Cardinale, Angelo Contorno, Giuseppe Costanzo, Adriana Dolce, Francesco Durante, Serafina Geraci, Roberto Giardiniere, Anna Maria Lucia, Ilaria Morreale, Pietro Picone, Salvatore Picone, Martina Rinascimento e Paolo Terruso.



Il Cantico dei cantici, canto dell’amore tutto umano, si offre a noi come un’immagine vera ed eloquente dell’amore di Dio che si dischiude all’amore degli uomini, che desidera il nostro amore. Il testo biblico, mettendoci dinnanzi e cantando l’amore umano, rivela che l’amore di Dio per noi è reale. Ma questo amore, pur essendo assolutamente vero e concreto, è anche sorprendentemente “diverso”. Si coinvolge. Conosce la vampa della “passione” (cfr Ct 8, 6), ma è disposto anche a “patire”.

Dio ci chiama ad un amore non astratto, ma più grande, “smodato” (sine modo). Infinitamente più grande. Un amore “sublimato” (sub – limen). Non nel senso di “annullato”, ma nel senso che emerge oltre il limite dell’occhio.  Che sconfina. Sconfinato. Fino a morire per l’altro, per l’altra, per tutti.

Paolo di Tarso ha avuto un’esperienza diretta di questo amore. Perciò augura agli Efesini: «Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità, siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3, 17-19).

Leggendo i versi del Cantico, siamo rimandati ad un celebre testo di Isaia, un testo anch’esso nato da un’ardente attesa. È il grido di felicità degli ebrei confinati a Babilonia che finalmente vengono a sapere che il tempo dell’esilio – tempo della lontananza da Dio e del “nascondimento” di Dio – si avvia a compiersi, che Dio interviene e il ritorno è ormai prossimo: «Come sono belli i piedi del messaggero di annunzi gioiosi, che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Il tuo Dio regna!”. Senti? Le sentinelle alzano la voce, insieme gridano di gioia» (Is 52, 7-8). 

È un appello anche a noi, a “venire via” dal nostro mondo sovente così chiuso, ad alzarci, a far esplodere la vita e l’amore. Ad alzarci dai nostri esili mentali, a venir fuori dagli angusti confini di patrie paradisiache proiettate per rinchiuderci in false sicurezze, precludendoci così la feconda bellezza del ‘rischio dell’altro’. È l’amore che fa rinascere il mondo, l’amore “trasforma” le stagioni rigide e crepuscolari della storia ed accende stagioni assolutamente nuove e diverse! «Alzati, amica mia, mia bella, e vieni! Perché, ecco, l'inverno è passato, è cessata la pioggia, se n'è andata; i fiori sono apparsi nei campi, il tempo del canto è tornato» (Ct 2,10). L’odio separa, allontana, elimina, distrugge, aggredisce, annega l’altro nell’indifferenza, lo fa entrare in un persistente declino invernale.

Rosalia è mossa dall’amore “concreto e altro” di Dio. È l’amore che la fa uscire dagli alienanti agi e dagli instabili poteri dei palazzi per andare incontro alla “sublimazione dell’amore”, all’amore sublimato. Rosalia accoglie l’invito dell’Amato ad uscire dalla prigionia mentale e culturale dove, inconsapevolmente, correva il rischio di rimanere imprigionata; a non farsi prendere dalla peste che ammorba il cuore, dal contagio devastante dell’indifferenza e dell’insensibilità che pietrifica la coscienza e obnubila la mente.

L’unione con Dio, l’amore per Dio - che può giungere fino al ritiro dell’eremo, come ritenne di fare Santa Rosalia - non è una fuga mundi per pochi eletti, ma strada sicura per essere “efficaci ed incisivi” nel mondo.

È l’amore di Dio alimentato dal silenzio, dall’ascolto orante della Bibbia e dall’intercettazione del gemito che sale dalla Città, che la farà alzare, per ricercare il bene, un di più di bene, il Sommo Bene, volerlo e mediarlo per gli altri, persino anche dopo la sua sepoltura, dopo secoli dalla sua morte, allorché scenderà a valle tra i suoi concittadini, per le strade pestilenti della città, per essere ancora “corpo che intercede” per la guarigione e la salvezza di tutti. Di tutti! La peste che infuriava a Palermo nel 1625 colpiva tutti, buoni e cattivi, santi e peccatori, uomini e donne, piccoli e grandi, cristiani e non cristiani, palermitani e forestieri.

L’amore per Dio  e per gli altri,  – nella sua misura massima apparsa  nel crocifisso del Golgota che spinge il dono di sé fino alla consegna del suo corpo sulla croce  – l’amore che irrompe in quanti accolgono il l Regno di Dio (cfr Mt 25, 1-13), è l’olio necessario per alimentare il senso più vero della vita, del nostro essere su questa casa comune che è la terra, dentro questa nostra città così bisognosa di essere trasfigurata nelle sue vie, nei suoi quartieri, nelle sue case, nelle sue montagne e nelle sue spiagge, nei volti di quanti la abitano, nelle relazioni, nelle famiglie, nelle scelte politiche e amministrative, nelle chiese, nelle appartenenze religiose, nelle sedi della burocrazia e nelle strutture sanitarie, nei luoghi dello sport e del tempo libero.

L’amore, che ha bisogno di essere contenuto nel vaso della bellezza e della gentilezza, della cordialità e della semplicità, dell’umiltà e della gioia, della speranza e della mitezza, della misericordia e del perdono, della purezza del cuore e della mente.

Santa Rosalia custodisci in noi l’amore, inonda di amore la nostra città perché rifulga di bellezza per quanti la abitano, per quanti la scelgono, per quanti la visitano!


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