BAGHERIA - La figlia di un mafioso ha messo in crisi un intero clan, uno di quelli che ancora conta nel cuore della provincia di Palermo. Lei voleva solo vivere la sua vita, al bar aveva conosciuto un giovane maresciallo dei carabinieri, era nata una storia. Un affronto per il padre capomafia, Pino Scaduto, signore di Bagheria e componente della Cupola per volere di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Un affronto per il codice mafioso, che doveva essere punito col massimo della pena, l’uccisione della figlia. Così aveva deciso Scaduto in carcere. «Tua sorella si è fatta sbirra», diceva al figlio. «Questo regalo quando è il momento glielo farò - scriveva a una parente – tempo a tempo che tutto arriva». Pino Scaduto aveva deciso. Anche perché sospettava di essere stato arrestato dai carabinieri proprio per colpa della figlia, nel momento in cui stava gestendo un affare importantissimo per le sorti di Cosa nostra, la ricostituzione della commissione provinciale, la Cupola. Questa notte, Scaduto è tornato in carcere, dopo sei mesi di libertà. Aveva finito di scontare il suo debito con la giustizia, ma puntava già a riorganizzare Cosa nostra. I carabinieri del comando provinciale diretto dal colonnello Antonio Di Stasio hanno arrestato 16 persone, l'ordinanza di custodia cautelare è firmata dal giudice Nicola Aiello. Le indagini della Dda di Palermo diretta dal procuratore Francesco Lo Voi e dall'aggiunto Salvatore De Luca hanno individuato il nuovo gruppo dirigente del mandamento mafioso di Bagheria, che continuava a imporre estorsioni a commercianti e imprenditori. Pino Scaduto meditava altri omicidi. Voleva colpire pure il maresciallo dei carabinieri. Puntava su un sicario fidato, suo figlio. Ma anche il figlio l’ha lasciato solo. Diceva a un amico, con cui si era confidato: «Io non lo faccio, il padre sei tu e lo fai tu… io non faccio niente… mi devo consumare io? Consumati tu, io ho trent’anni, non mi consumo». Il padrino insisteva, riteneva di dover ristabiliare quel concetto di onore mafioso che già tanti morti ha fatto. Nel 1983, Il boss dell'Acquasanta Antonino Pipitone fece uccidere la figlia Lia per il sospetto di una relazione extraconiugale, i sicari finsero una rapina. Un anno prima, un altro mafioso vicinissimo a Totò Riina, Giuseppe Lucchese, aveva fatto uccidere la sorella, il marito e l'amante per il sospetto di un triangolo amoroso. Cinque anni dopo, Lucchese uccise la cognata. «Si diceva che erano donne troppo libere», ha raccontato il pentito Gaspare Mutolo. La testa dei mafiosi non cambia, anche perché al governo dell'organizzazione sono tornati gli anziani boss, che ragionano alla vecchia maniera.
Fonte: "Repubblica.it"
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